Hai mai più riguardato i video dei fuochi di capodanno?
O sono ancora nella tua galleria a marcire?
L’altro giorno mi è capitato di scorrere la galleria del mio telefono e di ritrovare i video che avevo fatto ai fuochi d’artificio la notte di capodanno.
Non erano artistici, non c’erano angolature particolari, la situazione era molto standard. Insomma, non erano niente di speciale.
Eppure, tornando a quella sera, tutti stavano facendo video al cielo e lì per lì sembrava la cosa più normale da fare.
Però poi?
Quelle riprese non le ho più riguardate, non le ho pubblicate sui social, sono rimaste “a marcire” nella galleria del mio telefono.
Ma allora che senso ha avuto farle? Perché ho perso del tempo col telefono in mano quando avrei potuto fare altro, tipo godermi il momento?
Per rispondere a questa domanda bisogna tornare indietro di 15 anni.
Precisamente nel 2009, ossia quando Facebook stava esplodendo in Italia.
All’epoca il social era molto semplice: bisognava scrivere qualche pensiero e condividerlo sotto forma di status, magari con un’immagine.
Proprio la barra di pubblicazione ti chiedeva “a cosa stai pensando?” e ti spingeva a postare qualcosa.
Inizialmente non si sapeva come utilizzare la piattaforma, quindi si pubblicava un po’ a caso parlando della propria vita.
Un po’ alla volta però, post dopo post, l’atto di pubblicare si è normalizzato e il ventaglio degli argomenti trattati si è fatto sempre più ampio, tanto da farci postare qualsiasi pensiero ci balenasse per la testa.
Questo è stato il trigger: da quel periodo in poi abbiamo involontariamente sviluppato una sorta di “occhio” che ci permette, con sempre più semplicità, di convertire la vita in contenuti.
Viviamo qualcosa? La nostra mente è settata per capire subito se e come quel momento può essere postato.
E vi dirò di più: i social sono diventati una parte talmente integrante nelle nostre vite che ora il pensiero non è più “ho fatto questa esperienza, come la pubblico?”, ma è diventato “che esperienza potrei fare da pubblicare sui social?”.
E quella che ho appena scritto non è nemmeno troppo una provocazione, dato che accade senza che ce ne rendiamo conto.
Ci ritroviamo in una situazione sociale come un compleanno, una laurea o un pranzo in famiglia? La nostra mano afferra istintivamente il cellulare per immortalare il momento.
E se per dei momenti speciali non c’è niente di male, la stessa dinamica avviene anche nei momenti più “semplici”.
“Guarda che bel tramonto, devo fare assolutamente una foto”
“Il mio gatto ha fatto una faccia scema, click”
Ok, ora probabilmente starete pensando che è il classico discorso da boomer…
Solo che il punto della questione non è “ho perso tempo guardando il telefono e non ho vissuto la vita vera”, bensì è una domanda, che mi è balenata in testa mentre guardavo i video dei fuochi d’artificio che ho fatto a capodanno:
“Embè?”
Perché li ho fatti se in realtà non mi interessavano?
Perché perdere tempo in qualcosa che non è rilevante?
E qui entra in gioco il fattore notiziabilità.
Quando facciamo qualcosa nel mondo digitale, l’azione DEVE essere rilevante. Per noi, ma soprattutto per gli altri.
In un certo senso deve “far notizia”, ossia far soffermare le persone perché vengono colpite e attratte da qualche elemento.
Perché pubblicare qualcosa che non porta del valore aggiunto a nessuno?
Se faccio dei video ai fuochi d’artificio che non interessano nemmeno a me, perché dovrebbero interessare agli altri?
Siamo alla continua ricerca di like, follower ed engagement, ignorando il fatto che l’unico trucco reale è mostrare qualcosa che valga la pena essere notato.
Perché, dato che la tecnologia ci assorbe anche troppo tempo ed energie, dobbiamo fare in modo che almeno il tempo in cui la utilizziamo sia per qualcosa di utile e di unico.
Vi siete mai chiesti quanto poco conosciamo le persone?
Tutto ciò che sappiamo su di loro è perché l’abbiamo visto, ce l’hanno raccontato loro o l’abbiamo sentito da qualcun altro.
Non sappiamo però effettivamente cosa pensino veramente quelle persone, o perché non vogliono dircelo, o perché si vergognano, o perché non sanno articolare i loro pensieri in maniera corretta.
Il risultato è che tutto ciò che sappiamo su di loro è solo una piccolissima percentuale rispetto alla realtà.
Se solo potessimo conoscere il 100% di ogni persona rimarremmo stupiti: vedremmo che le persone sono incredibilmente creative ma a volte non sanno esprimersi, scopriremmo quanto sono più ansiose di come appaiono, noteremmo come la gelosia e l’invidia siano più frequenti di quanto immaginiamo.
Vedremmo quanto vuote sono alcune persone che da fuori sembrano incredibili, e quanto sarebbero meritevoli individui a cui non daremmo un euro.
Giudicare una persona solamente da quello che vediamo è come prendere un bicchiere d’acqua dall’oceano e dire “qui non ci sono pesci”.
Non importa quante informazioni abbiamo e quanto pensiamo di sapere: la quantità di cose che non sapremo mai è infinitamente superiore.
Pezzo tradotto e riadattato da questo stupendo articolo di Morgan Housel.
E pure per oggi è tutto, se volete mandarmi segnalazioni, richieste, consigli o qualsiasi altra cosa lasciatemi pure un commento o contattatemi in privato. Al prossimo giovedì :)
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Quanta verità!
La parte finale dell'articolo con la metafora sull'oceano, la si potrebbe estendere praticamente a qualsiasi campo. Soprattutto nelle relazioni di coppia o tra individui che in qualche modo hanno una relazione di qualche tipo. Sempre contenuti di qualità, grazie!
Io ero l’unico a non fare video dei fuochi a capodanno proprio perché ho pensato che non li avrei mai più guardati, mi sono goduto il momento e sono contento così!