Il like è la carota e noi siamo gli asini
Ok, non pensavo sarei mai riuscito a trovare un titolo così filosofico.
Ma cosa significa?
Per arrivarci bisogna partire da un po’ più lontano, precisamente da Giulio Cesare.
Giulio Cesare è stato uno dei primi grandi uomini di potere e sicuramente uno dei più famosi della storia. I suoi discorsi spingevano eserciti e popoli a fare ciò che diceva e le sue parole influenzavano la vita e il pensiero di decine di migliaia di antichi romani.
Flashforward.
Qualche anno dopo arriva Chiara Ferragni che con dei discorsi sulle sue storie Instagram è in grado di influenzare centinaia di migliaia di persone. Su tematiche più leggere, certo, ma esercita comunque una grandissima influenza.
La vedete l’analogia? Sono cambiati i tempi, sono passati un paio di millenni, ma alcune dinamiche sono rimaste uguali.
Possiamo chiamare questo modo di comunicare “pochi verso tanti”. Un influencer parla a tante altre persone e, appunto, le influenza.
Il potere comunicativo di “pochi verso tanti” è risaputo, la figura dell’influencer ormai è conosciuta da tutti e lo testimoniano anche i numeri sui vari social..
Quello di cui non si parla è l’altro lato della medaglia: come “i tanti influenzano i pochi”.
Mi spiego meglio.
Una volta un povero plebeo non aveva assolutamente nessuna rilevanza comunicativa dato che le voci che contavano erano quelle di ricchi, nobili, uomini politici, cantastorie e poche altre figure. Oggi però la musica è cambiata.
È arrivata infatti la tecnologia che ha rivoluzionato tutto: le persone non si erano mai esposte così tanto come negli ultimi anni al giudizio altrui.
Qualcuno scrive una newsletter? Si sta esponendo.
Qualcuno pubblica una storia su Instagram? Si sta esponendo.
Qualcuno lascia un commento sotto al post di qualcun altro? Si sta esponendo.
Anche in questo caso però si tratta di comunicazione di “pochi verso tanti”, dato che una sola persona scrive la newsletter e tutti gli altri la leggono. Cosa si intende quindi con la definizione “i tanti che influenzano i pochi”?
Per rispondere a questa domanda è fondamentale fare un altro passaggio.
Tutti i contenuti che vediamo hanno due livelli di output: il primo è il contenuto stesso, il secondo è il feedback del pubblico.
In altri termini: il primo è ciò che ha scritto il creator, il secondo è l’impatto che ha scatenato in termini di engagement (like e commenti) e di sentiment (se la gente lo sostiene, è arrabbiata oppure è neutra).
E proprio sul secondo entra in gioco l’influenza dei tanti verso i pochi.
Se un contenuto funziona arriveranno approvazioni, like e commenti positivi. Il creator, euforico, capirà che ha comunicato in maniera corretta e in futuro creerà altri contenuti simili.
In caso contrario, se per esempio avviene una shitstorm o gli utenti lasciano tanti negativi, il creator stesso tenderà a farsi delle domande, tipo “cosa ho sbagliato?” oppure “come dovrei comunicare?”.
E qui ci agganciamo con il titolo: molto spesso, alla ricerca della dopamina perduta, rinunciamo ad essere noi stessi pur di compiacere il pubblico che ci segue e che ci mette like. Rinunciamo a dire quello che pensiamo solamente per paura di ricevere meno interazioni.
Come degli asini che seguono la carota.
Quante volte capita che dopo aver detto qualcosa un personaggio rimuova un post pubblicato e si scusi *? Questo perché il pubblico ha avuto una grossa influenza su di lui, facendogli cambiare il suo modo di comunicare.
( * Chiaramente non faccio riferimento a gaffe oggettivamente di cattivo gusto, mi riferisco a dei pensieri scomodi che hanno cozzato con gli assurdi paletti del politicamente corretto).
Ma questa dinamica non è niente di nuovo, da sempre gli spettacoli teatrali sono enormemente influenzati dal feedback del pubblico: se applaude, chi è sul palco sarà motivato a fare ancora meglio, altrimenti finirà sotto una pioggia di pomodori, si sentirà umiliato e la volta successiva proporrà uno spettacolo diverso.
Sul web però è tutto amplificato, tutto più veloce, e tutti hanno un ruolo determinante, da entrambe le parti.
Ognuno nel suo piccolo viene messo sul banco di prova quando pubblica qualcosa o banalmente interagisce con qualcuno.
L’obiettivo quindi rimane quello di trovare la giusta chiave comunicativa per evitare di avere troppi feedback negativi, senza però snaturarsi pur di compiacere gli altri solamente per avere dei consensi in più.
Perché se continuiamo imperterriti a seguire la carota, rischiamo di non raggiungerla mai e morire di fame.
Ok, ammetto che la chiusura poteva uscire meglio.
Non stai procrastinando, sei solo disorganizzato.
Ebbene sì, c’è un bias che spesso frega la nostra routine: si chiama Planning Fallacy.
Questo schema mentale ci spinge a valutare in maniera sbagliata il tempo che abbiamo a disposizione per uno specifico compito, facendoci credere che ce ne rimane di più.
Ma perché succede?
Beh, indipendentemente dal nostro livello di esperienza, tendiamo a crearci degli scenari ottimistici che però non tengono conto delle difficoltà che subentrano quando ci mettiamo all’opera.
Può capitare infatti che accettiamo un lavoro quando ne abbiamo già altri ancora da concludere, oppure che sopravvalutiamo le nostre capacità per poi scoprire che il lavoro in questione è più difficile del previsto.
E come entra in gioco la procrastinazione?
Molto semplicemente, se stiamo rimandando qualcosa è perché pensiamo di avere il tempo necessario per risolverla in un secondo momento.
Mi ricordo con i compiti di matematica, dicevo “ma sì, ho tempo questo weekend”.
E poi “ma sì, li finisco domenica sera”.
E poi “dai, magari domani mattina in autobus”.
E poi puntualmente li copiavo i 5 minuti prima che arrivasse il prof.
Questo è un esempio perfetto di Planning Fallacy: mi creavo scenari ottimistici per poi invece rimandare in continuazione. Al tempo stesso mi sopravvalutavo pensando che in pochi minuti avrei risolto tutto, ma non avevo fatto i conti con il mio difficile rapporto con gli integrali.
Una cosa simile può accadere anche quando si lavora: una grafica che sulla carta poteva sembrare facile poi si rivela articolata, oppure un tema da approfondire si scopre poi essere molto complesso. Senza contare le dinamiche esterne, con collaboratori che consegnano in ritardo i lavori, oppure lunghi processi di approvazione, ecc.
Quindi alla fine per battere la procrastinazione è fondamentale essere organizzati e non sottostimare mai il tempo necessario per lavorare al meglio.
Se non ci si vuole ritrovare a copiare pagine di calcoli matematici in fretta e furia.
Qualcuno su Reddit ha chiesto all’intelligenza artificiale: “crea un’immagine che ispira le persone a trattare gli altri con gentilezza a Natale”.
È venuto fuori questo:
Per oggi è tutto, ci si vede settimana prossima :)
PS: se la newsletter ti piace metti un cuoricino qui sotto!
TOP. E' forse l'unica newsletter che riesco ancora a leggere (non me ne vorrà il team di Nenet ma a volte non riesco a leggere neanche la nostra XD)... Bravo Mattia!!!!
Ormai appuntamento fisso del giovedì. Sulla procrastinazione ho tanto da imparare e alle superiori ero così anche io ahah. Sto imparando a dedicare tempo alla programmazione e sto guadagnando in efficacia