Loch Ness e bufale: perché ci piace complicarci la vita
"La vita è molto semplice, siamo noi a insistere nel renderla complicata".
Circa 90 anni fa, una foto divenne virale: R.K. Wilson, un chirurgo, mentre pescava in un lago scozzese fece uno scatto che rimase nella storia.
Nella foto in questione si vedeva la testa di un animale misterioso che sbucava dalla superficie del lago: sto parlando del mostro di Loch Ness, una delle bufale più famose di sempre.
La leggenda di Nessie chiaramente venne poi smentita, ma ci lascia una grande verità sul comportamento degli esseri umani:
Da sempre, ci complichiamo la vita.
Vi faccio un esempio più vicino alla nostra quotidianità: ci sono dei periodi in cui ci sentiamo deboli. A volte diamo la colpa al “cambio di stagione” o al meteo, altre volte invece pensiamo di avere qualche problema di salute.
E allora facciamo le analisi del sangue e un sacco di altre visite per capire quale possa essere il nostro problema.
Alla fine scopriamo che il nostro unico problema è che in quel periodo abbiamo dormito troppo poco.
Siamo fatti così: involontariamente sentiamo che le soluzioni troppo facili non sono possibili, quindi siamo direttamente noi a cercare delle risposte più complesse.
Già a suo tempo Confucio disse che “la vita è molto semplice, siamo noi a insistere nel renderla complicata”.
Questo errore logico si chiama ”complexity bias”, ossia bias della complessità: davanti a due ipotesi tendiamo a preferire quella più complessa.
Rispetto agli altri bias questo è uno dei più strani: i bias sono delle scorciatoie mentali che abbiamo sviluppato quando prendere decisioni velocemente era questione di vita o di morte.
Per questo siamo farciti di pregiudizi che velocizzano le nostre scelte.
Il bias di complessità invece fa l’esatto opposto, ci complica le cose*.
Ma allora perché tendiamo a cadere in questa trappola?
Da una parte pensiamo che le soluzioni complesse dimostrino agli altri che conosciamo più aspetti riguardo a un argomento: “se uso parole complicate farò credere a chi sta dall’altra parte che sono un esperto”.
In questo modo siamo spinti a credere che complicare inutilmente un discorso possa impressionare chi ci sta ascoltando, dandoci maggiore credibilità.
Dall’altra parte abbiamo paura: la realtà ci spaventa, non vogliamo prendere decisioni che potrebbero influenzare negativamente il nostro futuro.
A questo punto del ragionamento possiamo allora smentire ciò che avevo appena detto*, o meglio vedere quella frase da un punto di vista differente.
Infatti, il bias di complessità in realtà non ci complica le cose, anzi, fa l’esatto contrario: se le altre scorciatoie mentali ci consigliano metodi per risolvere velocemente un problema, questo bias il problema ce lo fa risolvere proprio alla radice. Evitandolo.
Se ci troviamo davanti a qualcosa di troppo complesso, la nostra risposta più naturale è “non comprendere”, e quindi lasciare perdere. Se pensiamo che qualcosa sia più difficile di quanto lo è effettivamente, siamo spinti a mollare alla prima difficoltà.
Insomma, è un invito a procrastinare.
Ronald Reagan disse: “if you’re explaining, you’re losing”. Se stai spiegando, stai perdendo.
Nel momento in cui usiamo giri di parole per raccontare un concetto, vuol dire che c’è qualcosa che non va. Infatti, se adottassimo un linguaggio più semplice non ci sarebbero tutte queste barriere comunicative e non dovremmo perdere tempo a spiegare.
Con un linguaggio semplice tutti ci capiremmo subito.
I dottori dovrebbero usare un gergo più alla portata di tutti, gli avvocati dovrebbero semplificare il “legalese”, i politici dovrebbero comunicare in maniera più immediata per permettere a tutti di partecipare al dialogo pubblico.
E dovremmo farlo anche noi nella nostra quotidianità, usando parole più semplici e dandoci risposte più semplici.
Perché siamo già in balia degli eventi che ci succedono ogni giorno, se poi buttiamo benzina sul fuoco complicando anche ciò che non è necessario, la vita poi diventa un bel casino.
E finiamo a credere che una sagoma in un lago sia in realtà un mostro.
Ma tutte le persone che hanno un profilo social con un po’ di seguito dovrebbero essere attiviste?
Da quando da inizio ottobre si parla molto di più del conflitto tra Palestina e Israele, è diventato ricorrente trovare sotto i post di celebrities commenti come “speak for Palestine”.
In pratica, gli utenti chiedono che anche il profilo in questione dica qualcosa su ciò che sta succedendo.
Tornando indietro di un po’ di tempo, nel periodo in cui era esploso il movimento Black Lives Matter era normale pubblicare un’immagine nera sul proprio profilo per dimostrare sostegno alla causa.
Il problema era che, chi non lo faceva, veniva additato di “essere contro” il movimento…quando in realtà magari la persona semplicemente non aveva aggiornato il proprio feed, ma contemporaneamente stava portando avanti iniziative per conto proprio lontano dai riflettori.
Il problema di tutto ciò qual è?
Che al silenzio si preferisce “qualcosa”, anche se quel qualcosa è superficiale, senza un vero interesse e fatto solo per immagine.
Ma una persona che sui social pubblica sketch divertenti e fa umorismo perché dovrebbe parlare di politiche estere e dinamiche internazionali? Una persona che fa recensioni di cosmetici perché dovrebbe esporsi su un tema delicato come una guerra, senza averne le competenze?
Avere un grande pubblico non significa che bisogna per forza esporsi su temi che non riguardano il profilo in questione.
È meglio che ognuno segua i propri interessi e che si occupi di ciò che gli riesce meglio, che a parlare a caso c’è già troppa gente.
Lo sapete che nell’ottobre del 1582 il Papa decise di rimuovere 10 giorni dal calendario?
La spiegazione è molto semplice: il calendario accumula un “ritardo” rispetto alla rotazione della terra intorno al sole e, nel 1582, quando ancora il calendario non era affinato come ora, il ritardo totale era di 10 giorni.
Proprio per questo, per allineare il tutto, papa Gregorio rimosse quei giorni: se andate a controllare, dal 4 ottobre si passa direttamente al 15.
Trovate un breve riassunto in questo video.
A proposito di storia, un thread interessante su qual è stato l’anno peggiore della storia dell’umanità, consiglio la lettura.
Ci sentiamo il prossimo giovedì :)
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Maledetti bias…..
Io di mio tendo a semplificare i concetti e renderli più lineari possibili per ridurre il tempo di ripresa dei concetti. E sono pienamente d’accordo sul fatto che se non si ha qualcosa da dire meglio star zitti
La parte sull'esposizione sugli argomenti è una grande verità, perchè dobbiamo far schierare tutti, soprattutto nell'intenzione di far condividere la propria idea e non un parere contrario? Nonsense allo stato brado.