“Ai miei tempi i social connettevano le persone”.
Mi immagino così, nei miei anni di vecchiaia, a parlare ai più giovani ricordando con affetto e nostalgia il passato.
La cosa divertente però è che è veramente così: un po’ di anni fa i social erano differenti.
Dai feed di una volta in cui venivano mostrati in ordine cronologico i post dei nostri amici, siamo passati a degli algoritmi che pretendono di sapere che cosa ci piace e ci mostrano in continuazione post sponsorizzati.
E quindi, se in passato servivano a connetterci, oggi i social sono una perfetta macchina di monetizzazione.
In tutto questo processo, una figura che diligentemente ci ha messo il prosciutto sugli occhi è quella degli influencer.
Nella deriva commerciale presa dagli algoritmi, gli influencer e i creator ci sembravano dei paladini, dei pionieri digitali che ci mostravano ciò che volevamo vedere, ci dicevano ciò che volevamo sentire, ci portavano con loro in un mondo che potevamo solamente immaginare.
Le persone però tendono ad abituarsi e quindi, la cosa che una volta emergeva dal rumore, oggi è essa stessa la fonte del rumore.
Sì perché i numeri raggiunti e la genuinità percepita dal pubblico hanno fatto diventare gli influencer a loro volta delle macchine da monetizzazione, spremuti il più possibile dai brand.
Questo ha fatto sì che ora l’utente finale quando apre i social guardi con scetticismo TUTTI i contenuti che gli appaiono, perché magari uno di quelli potrebbe essere commerciale.
La sensazione di asfissia poi si è fatta ancora più intensa quando i brand hanno deciso di agire “in prima persona”.
Dopo una prima fase di riluttanza nei confronti delle piattaforme social (in cui venivano ancora viste con indifferenza, disprezzo, a volte paura), hanno capito le potenzialità che potevano ottenere se si esponevano.
Così le aziende si sono buttate.
Come? Beh, cavalcando i trend del momento.
Qualcosa diventa virale sul web? La gente comincia a parlarne, nascono i primi meme, vengono approfonditi dai creator di settore e, nel momento dell’esplosione, si aggiungono anche gli influencer più grossi. Solo alla fine di questo processo di “validazione“ di un trend entrano in gioco i brand, andando a colpo sicuro e parlando del tema di cui parlano tutti.
Gli utenti allora hanno iniziato a capire che, una volta che tutte le aziende parlavano di un tema (sfruttandolo quindi anche da un punto di vista commerciale), significava che il tema in questione era “morto” e bisognava passare oltre.
Proprio qui i brand hanno avuto un’illuminazione: “ma se cominciassimo a toccare i trend già nelle fasi iniziali, quando ancora il pubblico è interessato?”
Nasce un trend? Bisogna fare subito un contenuto su di esso.
“Very demure, very mindful”? Tutte le aziende sono demure e mindful.
C’è stata quindi un’escalation in cui le aziende sono state coinvolte in maniera sempre più intensa nella cultura di internet, una partecipazione profonda, ormai radicata in ogni tipo di contenuto.
“Trend inflation” l’hanno chiamato. Infatti, seguendo lo stesso funzionamento dell’inflazione economica, se in giro ci sono tanti contenuti, i contenuti stessi perdono valore.
Per questo motivo l’epoca dei social in cui stiamo vivendo ora è stata definita “late stage social media”, ossia una fase avanzata delle varie piattaforme in cui si mollano le certezze del passato e si va verso altre dinamiche.
Un fenomeno che ho scoperto di recente è quello dei profili “finsta”, fake-insta, ossia dei profili finti su Instagram.
La loro particolarità? Sono dei profili privati in cui tra i follower e i following ci sono solo degli amici stretti, con l’obiettivo di vedere solamente i post delle persone che ci interessano di più, e “battere” gli algoritmi e i brand.
Qui i contenuti pubblicati, destinati appunto a una platea molto limitata, non seguono le regole tipiche dei social (immagini patinati o in posa), ma sono degli scorci di vita quotidiana ripresi in maniera naturale e genuina.
Perché quello che pubblicano gli influencer o i brand non ci interessa più.
O forse addirittura non ci è mai interessato.
E allora, in un mondo che tende a farci seguire sempre più profili e vedere sempre più post per guadagnare sempre di più, l’unica risposta accettabile è andare al contrario, verso un minimalismo digitale basato su poche connessioni valide che ci permetterà di tornare alle origini.
Origini in cui lo scopo dei social è connettere le persone.
Ti svegli una mattina e ti accorgi di non aver sentito l’allarme.
Sei in ritardo di 30 minuti: ti lanci giù dal letto, metti un toast nel tostapane e per ottimizzare i tempi nel mentre ti vesti e ti prepari.
Quando però ti metti la giacca pronto per uscire senti odore di bruciato: ti eri dimenticato il pane, che ora è tutto bruciato.
Non esci mai però senza aver mangiato qualcosa, così metti su un’altra fetta e aspetti che si scaldi.
Molto probabilmente in quel momento imprechi un paio di volte, pensando di “avere l’universo contro“.
Quello che non sai è che, uscendo di casa più tardi del solito, hai evitato di venire coinvolto in un incidente stradale mortale, avvenuto proprio nel lasso di tempo del tuo ritardo.
È la “teoria del toast bruciato”, un modo diverso di vedere le cose negative che ci capitano nella vita.
Un altro esempio lo vediamo da sempre nei film e nelle serie tv romantiche, ossia la classica scena in cui il protagonista fa cadere dei libri e dei fogli e, ad aiutarlo a raccoglierli, c’è la persona che gli piace.
Se non fosse stato per quell’episodio spiacevole quindi non avrebbe mai conosciuto l’amore della sua vita.
Il messaggio che voglio far passare non è assolutamente “crediamo nel destino“, bensì di concentrarci sulle cose belle pensando che, senza i momenti più brutti, non avremmo niente di tutto questo.
Non sappiamo se siamo buoni o cattivi finché non veniamo “testati”.
È più “buona” una donna che vorrebbe essere infedele ma non tradisce perché non le capita mai l’occasione, o un ragazzo gentile ed educato che però cresce nella Germania nazista e si arruola nell’esercito?
Un professore ci spiega questo fenomeno.
Ah, vi consiglio di guardare anche gli altri suoi video, filosofeggia su aspetti e sfaccettature super attuali.
Siamo finalmente arrivati a 2000 lettori di Edamame, grazie mille :)
Al prossimo giovedì!
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Io, stanco delle vite degli altri, mi sono creato un profilo instagram "conosciuto" solo dalla mia compagna e altri 3 amici e seguo solamente pagine che mi interessano. Alla fine ne ho giovato in termini di intrattenimento, ma la tua frase "Origini in cui lo scopo dei social è connettere le persone" mi ha fatto riflettere.
E' il modo giusto di vivere un social? forse no, ma è quello che mi fa stare meglio (non bene), quindi sticazzi.
Ciao Matti!
"...quello che pubblicano gli influencer o i brand non ci interessa più. O forse addirittura non ci è mai interessato." ...già! Sai che noi tutta questa pubblicità più o meno occulta o questi argomenti di cui non mi sarei mai interessata? Concentriamoci sulle cose belle che ci capitano e su quello che davvero è importante per la nostra vita e la nostra quotidianità :-) Grazie!