Stavo girando i siti delle varie compagnie aeree e mi ritrovo su quello di EasyJet.
In realtà non stavo cercando dei voli particolari, volevo solamente farmi ispirare per qualche ipotetico viaggio futuro.
Smanettando sul sito, scopro una sezione dedicata “agli indecisi” dove puoi chiedere direttamente all’algoritmo di EasyJet di ispirarti.
Lo provo. Tra i parametri del viaggio c’è “Popolari su Instagram”.
E così mi sono chiesto:
Fare dei viaggi si è veramente ridotto al “cercare la cartolina”?
Mi spiego meglio.
Ormai da un po’ di anni ho notato come i viaggi siano diventati delle pratiche sempre più superficiali, delle attività che non vengono fatte per noi stessi ma per gli altri.
O meglio, per il giudizio degli altri, per dimostrare che in primo luogo siamo stati in un certo posto, e in secondo luogo che siamo degli artisti.
La ricerca dell’aesthetic ha plagiato ormai tantissime persone, il mito del feed perfetto su Instagram è diventato una sorta di ragione di vita.
Più volte, pur di raggiungere lo scatto perfetto, ho vissuto momenti in cui ci si è paralizzati nello stesso posto anche per 20/30 minuti “perché la luce non va bene”, “perché un tizio era passato sullo sfondo”, ecc ecc ecc.
Io ho sempre avuto un rapporto di odio e amore con questo approccio ai viaggi.
Una volta non concepivo il concetto di fare così tante foto: spesso, di fronte a qualche attrazione, mi capitava di fare un singolo scatto e andare via. Infatti più volte sono tornato a casa con all’attivo 10 foto fatte in un’intera settimana di vacanza.
Esagerato dall’altra parte.
Da qualche anno, però, complice anche l’acquisto dell’iPhone che dà molta più soddisfazione nell’atto di scattare-postare, ho cambiato idea e approccio a riguardo.
Trovo che fare foto sia un modo per incidere dei momenti per sempre, metterli nero su bianco, per poi riguardarli anche a distanza di anni e rivivere (seppure in minima parte) certe esperienze, soprattutto riguardando i video.
C’è una grande differenza però tra queste due situazioni, foto per me vs foto per gli altri.
Diceva qualcuno: se non ti fai la foto quando vai in palestra, significa che non ti sei allenato.
Una battuta chiaramente, ma “tratta da una storia vera”.
Al giorno d’oggi sentiamo il costante bisogno di essere validati in tutto ciò che facciamo, e quale miglior modo di farlo se non con una presunta approvazione da parte delle altre persone sui social?
Anche un viaggio quindi diventa il modo migliore per far vedere agli altri quanto ci divertiamo, quante esperienze incredibili facciamo, che noi sì e gli altri no.
Però fermi tutti.
Da queste righe potrebbe trasparire una critica pesante nei confronti di chi fa foto e le pubblica sui social mentre è in vacanza…
ma la realtà è che non c’è nulla di male se questo meccanismo viene vissuto in maniera sana e con la dovuta leggerezza del caso.
I social sono nati per condividere con i propri contatti i momenti quotidiani, quindi mostrare che si sta girando il mondo è nella natura intrinseca del social stesso.
Il problema nasce quando il “far vedere” non è la conseguenza di un’esperienza, ma ne diventa la causa.
In parole povere, se vai in vacanza SOLAMENTE per scattare delle cartoline da pubblicare sui social, ecco, lì sta il problema.
First world problem direte voi, certo, ma se vivi nell’ansia di dover scattare per forza la foto perfetta da mostrare alle persone a casa, significa che non ti stai godendo a pieno ciò che stai facendo.
Ed è un peccato. Tutto qui.
Ve lo giuro, questa immagine non è frutto di qualche mio esperimento con l’intelligenza artificiale.
È il supereroe creato dalla Nike nel 1996, chiamato Swoosh Superhero.
Detta in soldoni: era la mascotte di Nike Sports Entertainment, un progetto sperimentale con l’obiettivo di creare eventi e dare ancora più visibilità al brand.
La vita di questo supereroe però durò solo un anno, una delle sue cause di questo semi-fallimento fu il costo proibitivo del costume (oltre 125mila dollari). Qui trovi più info.
Mi è arrivata una segnalazione incredibile.
“Hai mai visto la pagina di Jean-Claude Van Damme su Facebook?”
No.
Non l’avevo vista.
E mi ero perso qualcosa di incredibile.
Certo, lo si nota subito, sono immagini generate con l’intelligenza artificiale.
Lui pure lo esplicita nella didascalia, scrivendo [a Digital Art by Van Damme Studio].
Ma mi hanno investito una serie di riflessioni.
Punto 1: PERCHÉ?
È uno degli attori e combattenti più famosi nella storia, con sicuramente un’infinità di foto vintage e aneddoti da raccontare. Perché pubblicare una foto di se stesso con le ali da angelo?
Punto 2: nei commenti ci sono letteralmente centinaia di persone che gli scrivono “bella foto”.
E vabbè, so che è così eppure non mi capacito di come la gente ancora non sappia riconoscere quando un’immagine è palesemente fake.
Punto 3: era necessario un “Van Damme Studio” per fare queste immagini?
Senza esagerare in tipo un minuto avrei fatto cose migliori.
Non so se vi siete accorti ma ho levato i #numeri prima del titolo, ha più senso così. Magari scrivo qui in fondo a che numero siamo arrivati. Questo è l’episodio numero 10!
E per un po’ non parlerò più di vacanze, prometto.
Ci sentiamo giovedì prossimo :)
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Sempre arguto. Top!