Perché godiamo quando qualcuno fallisce?
Non è che sei stronzo, siamo fatti così. Ma si può migliorare.
Hai presente quando, da piccolo, un compagno di classe ti trattava male ma poi lo vedevi cadere in bicicletta e ridevi soddisfatto?
O quando in ufficio un collega ti risponde male e poi, dopo che ha sbagliato qualcosa, il capo lo riprende davanti a tutti e tu godi?
O, in generale, quando qualcuno si comporta male ma poi gli succede qualcosa di spiacevole e tu pensi “è il karma”?
Ecco, esiste una parola pure per descrivere questa cosa qua, e sono andato a pescarla in Germania: Schadenfreude.
Traducendola letteralmente, Schaden significa danno e Freude gioia.
La parola quindi, intraducibile in italiano, rappresenta quel piacere che proviamo quando a qualcuno capita una sfortuna.
Una sorta di sensazione maligna, che ci fa godere delle disgrazie altrui.
È una di quelle sensazioni brutte, eticamente discutibili, che non si possono dire in pubblico ma che tendenzialmente tutti proviamo.
Le motivazioni alle spalle sono tante, ma la Schadenfreude esiste praticamente da sempre.
La varie dinamiche della nostra vita, infatti, molto spesso si basano su competizione e confronto sociale. Da sempre.
Se pensiamo a quando eravamo bambini, per esempio, eravamo in competizione con i nostri fratelli per mostrarci “migliori” agli occhi dei genitori per ricevere le loro lodi.
Oppure contro i compagni di classe per entrare nelle grazie di un insegnante e sperare di prendere un voto in più.
Oppure ancora in amore: quando ci piace una persona vorremmo essere gli unici ai suoi occhi, perciò non vediamo l’ora che gli altri spasimanti si mettano in cattiva luce facendo una figuraccia.
Per “vincere” tutte queste competizioni sociali ci sono due strade, che possono essere complementari: da un parte possiamo migliorare noi, comportandoci meglio, studiando di più, cercando di essere più attraenti.
Dall’altra parte però possiamo raggiungere più facilmente i nostri obiettivi se il livello con il quale ci confrontiamo è più basso.
Per quello tendiamo ad essere contenti quando a un nostro avversario succede qualcosa di negativo.
Ma ora arriva il bello.
La Schadenfreude applicata alla nostra epoca.
Avete mai visto Masterchef? O l’Isola dei Famosi? O Temptation Island?
Sembrano programmi completamente diversi, ma hanno tutti un elemento simile.
In Masterchef ci piace vedere i concorrenti che vengono giudicati in maniera brutale dai giudici (ve lo ricordate Bastianich che lancia gli gnocchetti come una catapulta?), nell’Isola dei Famosi ci piace vedere i VIP che soffrono la fame in un posto deserto, su Temptation Island ci piace vedere la gente che piange perché viene tradita in diretta TV.
Lo vedete il pattern, lo schema ricorrente in tutto ciò?
Ci piace vedere le persone fallire, ci piace dire “meglio a loro che a me”.
Ecco.
Se posso capire le dinamiche sociali che fanno parte della nostra quotidianità (come la competitività con colleghi o compagni) per me rimane assurdo e degradante seguire in maniera così forsennata dei programmi nei quali l’unico obiettivo è “pornificare” il dolore solo per intrattenimento.
Che poi non si tratta solamente di guardare un programma, ma in seguito riversare commenti e odio sui social network, commentando le vicende dei programmi stessi, andando ad amplificare esponenzialmente questo fenomeno e creando una “Schadenfreude collettiva”.
Da una parte è vero: la goduria del fallimento altrui è innata (certamente c’è chi è più predisposto di altri).
Ma possiamo anche impegnarci a diventare delle persone migliori, in primo luogo guardando meno programmi televisivi o profili social che offrono come unico contenuto il fallimento altrui.
Migliorare si può, ma bisogna partire dalle piccole scelte quotidiane.
Ho scoperto che in Giappone i telefoni fanno il rumore dell’otturatore per ogni foto scattata.
Ogni foto.
Apri Instagram, fai una foto e *CLIC*. Tutti sanno che hai appena scattato.
E in teoria non c’è un modo per disattivare questa opzione.
Questa è chiaramente una scelta per evitare che vengano fatte foto “di nascosto” e proteggere le persone e la loro privacy.
La cosa più assurda di tutta la faccenda è che non è stata una legge a obbligare le aziende, ma sono le aziende stesse che si sono “auto-regolamentate” per proteggere i cittadini.
Quando ho letto di questa pratica mi ha fatto un certo che, e ho subito pensato cosa succederebbe in Italia se per esempio Apple o Samsung creassero dei telefoni che fanno sapere a tutti quando scatti una foto.
Protesta collettiva in piazza con i forconi? O si vivrebbe meglio?
Ho creato la pizza più grande della storia:
Ci sentiamo il prossimo giovedì :)
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Oltre ai suoni intimidatori che escono dai telefoni (figata), anche una bella mezz'ora di meditazione quotidiana aiuterebbe. Sai quello che alla fine ci frega sempre? L'onnipresente Ego. Ci fosse un'App per metterlo in "modalità aereo", farebbe sfracelli.
Magari è invidia , magari non vogliamo ammettere le capacità ed il successo altrui.L’educazione emotiva dovrebbe poterci permettere di trasformare la shadenfraude in ammirazione apprendimento e spirito di emulazione ,così si può provare a crescere un poco.