Il dilemma del prigioniero
Se vieni arrestato con un tuo amico, fai la spia nei suoi confronti o no?
Tu e un tuo amico venite arrestati dopo aver tentato di rapinare una banca.
Ok, so che è un paragone estremo e in cui nessuno di voi si rivede (credo), ma mi serve per la storia di oggi.
Insomma, venite arrestati e la polizia vi chiude in due celle diverse, non comunicanti tra loro.
Dopo un po’ vengono dei poliziotti a interrogarti: se coopererai eviterai la pena ma incastrerai il tuo amico. D’altra parte, però, non sai se il tuo amico nell’altra stanza parlerà o no.
Gli scenari possibili sono questi:
se nessuno dei due parla, entrambi dovrete scontare una piccola pena di 1 anno
se parlate entrambi, sconterete tutti e due 6 anni a testa
se parli solo te, vieni liberato ma il tuo amico viene condannato a 7 anni (o viceversa)
L’esito finale chiaramente si basa su quanta fiducia avete l’uno nell’altro, tu che fai?
Avete appena letto il dilemma del prigioniero, se vi interessa vi invito ad approfondirlo su Wikipedia.
Questa versione del dilemma del prigioniero è un esempio quasi didattico, in realtà però ogni giorno ci capitano situazioni molto più concrete.
Se vivi con un coinquilino e ci sono le stoviglie sporche sul lavello, le lavi tu o aspetti (e speri) che le lavi lui?
Questi due contesti sono molto più vicini di quanto possa sembrare: in entrambi i casi, infatti, conosciamo la persona che sta dall’altra parte (sia l’amico prigioniero, che il coinquilino), quindi presumibilmente sappiamo come si potrà comportare.
E questa consapevolezza fa tutta la differenza del mondo quando prendiamo una decisione.
Andando un po’ più indietro nel tempo, l’umanità si è sempre basata su questo meccanismo di conoscenza degli altri e di fiducia: dato che si viveva in piccole società in cui ci si conosceva tutti, si poteva già immaginare il comportamento degli altri membri del gruppo.
Ciò significava che era facile scegliere di chi fidarsi e con chi invece era meglio non avere “dilemmi del prigioniero”.
Da una quindicina d’anni però non è più così.
Eh già, colpa del caro vecchio internet (e dei social).
Come dicevo, l’essere umano ha sempre avuto a che fare con relativamente poche persone nell’arco della propria vita.
Quelle che vedeva più spesso erano parenti e amici, con i quali aveva sviluppato un importante rapporto di fiducia, e solo di rado incontrava nuove facce.
Ora invece la quantità di estranei con cui entriamo in contatto ogni giorno non è mai stata così alta: con un clic siamo collegati con gente dall’altra parte del mondo, con un altro clic possiamo esprimere un pensiero che raggiunge migliaia di persone.
E qui la dinamica si fa interessante: sia nell’esempio del prigioniero che in quello del coinquilino abbiamo avuto a che fare con persone conosciute, meccanica che ci spinge a voler mantenere un buon rapporto con la persona in questione.
Infatti statisticamente scegliamo la “good option”: se sono nostri amici decidiamo di non fare la spia e di lavare i piatti incrostati.
Ma se la persona coinvolta nel dilemma è uno sconosciuto con cui non ci importa avere una buona relazione futura?
È stato studiato che in questo caso siamo molto più egoisti e pensiamo quasi esclusivamente al nostro tornaconto personale.
Dalle ricerche, infatti, emerge che quando siamo legati con l’altra persona tendiamo a essere gentili, ma quando non ci interessa chi sta dall’altra parte siamo estremamente egoisti.
E questo è facile accada quando siamo online: sappiamo che non vedremo e non sentiremo mai più l’utente a cui stiamo per lasciare un commento, e questo ci spinge ad agire in maniera più negativa.
Se solo fossimo più consapevoli di questa dinamica potremmo cambiare il nostro approccio, trasformando internet e i social in un posto un po’ migliore.
E non si tratta di condividere la prigione con qualcuno eh, si tratta solo di commentare e interagire con più gentilezza. Alla fine fa parte della nostra natura.
I contenuti brevi ci stanno distruggendo senza nemmeno che ce ne rendiamo conto.
Quante volte ci siamo persi nel flusso dei video brevi di TikTok o di Instagram, oppure scorrendo all’infinito il feed di Twitter?
A me accade praticamente ogni giorno, infatti ne ho già parlato diverse volte su questa newsletter.
Questi contenuti brevi portano con loro tantissimi problemi: creano dipendenza, dato che ci spingono a rimanere incollati al telefono sfruttando la dopamina, e ci fanno abbassare la soglia dell’attenzione, dato che cerchiamo video sempre più veloci e intensi.
Dall’altra però c’è un aspetto di cui non se ne parla quasi mai.
Per capire a cosa faccio riferimento, ripensiamo un attimo ai video che possono apparirci nelle nostre sessioni social: solitamente sono delle mini pillole sui temi più disparati, che durano massimo 60 secondi, spesso tratte da podcast o video più lunghi.
Perciò (nella migliore delle ipotesi) in sequenza vediamo il video di 30 secondi sulla finanza, il ragionamento di un filosofo, un paio di frasi decontestualizzate di Barbero sul comunismo, dei frame che ci mostrano il portale da Dublino a New York…
Alla fine di questa nostra sessione digitale abbiamo sentito un’infinità di argomenti, opinioni di studiosi o di influencer, tematiche di attualità e chi più ne ha più ne metta; abbiamo accumulato quindi una grande mole di spunti, solo che per ognuno di questi video abbiamo dedicato un arco temporale brevissimo che non ci ha permesso di andare a fondo nell’argomento.
La naturale conseguenza è che nella nostra testa crediamo di aver ricevuto delle informazioni su una grande quantità di temi, ma la realtà è che di quel tema non ne sappiamo assolutamente nulla, al massimo “ne abbiamo sentito parlare”.
Questo meccanismo ha fatto nascere esperti e tuttologi di internet, ossia persone che pensano di avere una cultura molto ampia quando invece hanno conoscenze estremamente superficiali su tutto ciò che hanno visto.
E questa dinamica colpisce un po’ tutti, nel senso che spesso quei “tuttologi” siamo anche noi, che crediamo di conoscere un certo argomento ma la nostra conoscenza è fatta al massimo di qualche parola chiave.
Proprio per questo uno degli approcci ai contenuti brevi che mi sento di consigliare è di sfruttare piattaforme come TikTok per scoprire cose nuove e farci accendere delle lampadine.
Queste scintille poi però devono essere veicolate da altre parti, verso contenuti più lunghi e di approfondimento, per fare in modo che la conoscenza non sia solo superficiale, ma un qualcosa che porti valore alle nostre vite e che rimanga nel tempo.
Sappiamo bene quanto possono darci i social, dobbiamo solo cercare di sfruttarli al meglio.
La strana storia della vincitrice di X-Factor che, dopo essere “sparita dalla circolazione”, vede la propria pagina Facebook trasformata nel profilo di una nuova concorrente di Amici.
Un interessante video ci racconta cos’è successo e, in maniera più ampia, analizza le dinamiche che avvengono all’interno di quel tritacarne che è l’industria musicale.
È tutto guys, ci sentiamo il prossimo giovedì :)
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Sempre sul pezzo e piena di spunti interessanti su cui riflettere. Bellissimo il dilemma iniziale, fa riflettere molto su quanto le nostre scelte dipendano dalla persona che si trova coinvolta nella scelta. Ci farò caso nella vita quotidianità
❤