Il gossip ci sta lentamente uccidendo
Da Fabrizio Corona, a Kanye West, al “basta che se ne parli”.
Sono stanco.
Sono stanco di vedere meme su Fabrizio Corona, di leggere ciò che ha detto, ciò che ha fatto, l’intervista che ha rilasciato, il gossip che ha creato.
Se potessi descrivere la situazione che sto vivendo da una settimana a questa parte, la frase perfetta sarebbe “tutto ciò che so su Fedez e Ferragni la so contro la mia volontà”.
Non ho cercato nulla, non ho aperto nessun articolo o cliccato nessun contenuto, eppure eccolo lì, il faccione di Corona nel mio feed.
E anche ora che ne sto parlando sto facendo io stesso il suo gioco. Visibilità a tutti i costi, anche se se ne sta parlando male.
Corona è un maestro in questo: quando si tratta di guadagnare l’attenzione è disposto a tutto.
Poco importa se dietro quei titoli e quelle notizie ci siano persone reali, con famiglie, figli, sentimenti. L’importante è che la macchina del clamore non si fermi.
Una delle cose che più mi ha dato fastidio di questa vicenda sono stati i post e le analisi di sedicenti esperti che hanno riconosciuto nel “modello Corona” un modo fantastico di fare comunicazione, creando guide che ci spiegavano quanto fosse stato bravo a catalizzare l’attenzione nazionale.
Il problema sai qual è?
Che con Corona non siamo di fronte a semplice gossip o a un marketing aggressivo, siamo davanti alla spettacolarizzazione del dolore, a un sistema che premia la brutalità, che normalizza il fatto di calpestare chiunque pur di restare sulla bocca di tutti.
La vita umana è diventata merce e, ogni volta che guardiamo un suo contenuto, diventiamo noi stessi i compratori.
Però bravissimo che è riuscito ad attirare l’attenzione eh, standing ovation con caroselli di analisi e approfondimento su quanto sia bravo!
Cosa possiamo aspettarci ora? Un webinar su come distruggere la privacy delle persone per fare engagement?
Ok scusate lo sfogo.
Torniamo a noi, altra domanda per te: sai perché il “modello Corona” continua a funzionare?
Perché noi glielo permettiamo.
Perché ogni like che mettiamo, ogni secondo che passiamo a guardarlo, ogni volta che condividiamo un meme con la sua faccia stiamo alimentando un sistema in cui pensiamo di essere spettatori innocenti, ma in realtà siamo i suoi ingranaggi.
Anche se ne parliamo male, non cambia nulla.
La macchina del clamore non distingue tra chi applaude e chi si scandalizza.
Distingue solo tra chi partecipa e chi no.
E se fosse solo Corona, potremmo ancora illuderci che sia un’eccezione, un’anomalia. Ma la verità è che questo meccanismo è ovunque.
Pochi giorni fa ci sono state le premiazioni dei Grammy e ha fatto scalpore Bianca Censori, la moglie di Kanye West, che si è presentata sul red carpet nuda. Non è un’iperbole, era veramente nuda.
Come spesso capita in queste occasioni le foto sono diventate virali, la gente ha fatto ricerche sul web e l’episodio è finito sulla bocca di tutti.
Lo stesso Kanye West si è poi vantato sul suo profilo, condividendo degli insights di Google e mostrando come la moglie fosse diventata “la donna più googlata sulla terra”.
Al che, sotto il post, un utente ha lasciato un commento che più o meno faceva così: “è facile fare questi numeri mostrando una donna nuda”.
Kanye si è appellato quindi al “modello Corona”: ha pubblicato gli screenshot del commento in questione, ha mostrato il profilo della persona che aveva commentato, ha ricondiviso i suoi lavori (era una fotografa, italiana peraltro). E, come potete immaginare, il profilo della ragazza si è riempito immediatamente di insulti, di commenti negativi, subendo a tutti gli effetti una shitstorm.
Cos’ha fatto Kanye in pratica? L’ha esposta alla furia della sua fanbase.
Un modo meschino per far parlare ancora di più di sé, mostrando che oggi il potere non si misura solo con il talento o con le idee, ma con la capacità di manipolare l’attenzione collettiva.
E non importa come la ottieni, importa solo che il riflettore sia puntato su di te.
Il tutto è stato chiaramente alimentato dagli utenti, diventati consumatori compulsivi di indignazione che ogni giorno riversano la loro attenzione su un nuovo scandalo, su un nuovo gossip.
Il problema è che tutto questo non è intrattenimento innocuo, è un sistema che crea danni reali, che distrugge reputazioni, che rende normale l’idea che la vita privata di qualcuno possa essere trasformata in carne da macello per il piacere del pubblico.
Ieri erano Fedez e Ferragni, oggi una ragazza qualsiasi che ha lasciato un commento su Instagram, ma se domani fossimo noi? Chi ci proteggerà?
Ogni volta che clicchiamo su contenuti simili o ci indigniamo, stiamo solo girando l’ingranaggio e alimentando la macchina del clamore.
E finché ci sarà pubblico, il circo non si fermerà mai.
L’unico modo per fermarla è smettere. Non cliccare, non commentare, non alimentare.
Basterebbe così poco per spegnere tutto, solo che, forse, il nostro vero problema è che preferiamo farci uccidere dal gossip e dal rumore, piuttosto che vivere nel silenzio.
Un medico ospedaliero ci racconta il fenomeno novax e lo analizza da un punto di vista psicologico.
“L’uomo da sempre va contro le nuove scoperte e le novità sociali”, lettura consigliata.
Anche sugli animali vige il marketing.
Ce lo spiega quello che è probabilmente il più grande hater dei cavalli, che si chiede perché abbiano così tanta più notorietà rispetto ai cammelli, nonostante sappiano fare più o meno le stesse cose. Anzi, i cammelli sono meglio. Parola di un comico.
I ghiacci si stanno sciogliendo, gli animali si stanno estinguendo, e noi stiamo smettendo di utilizzare i colori.
Un articolo approfondisce il fenomeno che ci sta portando verso un mondo sempre più monocromo. Be brave. Be colourful.
Ci si vede, come sempre, il prossimo giovedì :)
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Il miglior antidoto che conosca?
Il motto di mia nonna (in dialetto istro-veneto):
ti sa cosa me importa a mi de lori? Come a lori de mi.
A quel punto, niente interazioni, niente algoritmo che ti bersaglia. Al massimo qualche titolo inevitabile.
Domandiamoci: perché interagiamo sui social? Lo facciamo per avere una finestra diretta sulla realtà e per poter interagire con questa realtà, cosa che con altri sistemi di informazione come giornali e TV non ci è consentita. Questa è un'aspirazione lecita, persino nobile... Peccato che il gioco di rappresentazione della realtà dietro quella finestra sia fortemente distorto: noi la percepiamo come realtà, ma quello che ci arriva e le reazioni ai nostri post sono manipolati in primo luogo dalla nostra modalità stessa di interazione, dove la prima percezione emotiva, vera o falsa che sia, prevale sulla verifica della verità e sul ragionamento; in secondo interviene la manipolazione di algoritmi che falsano le proporzioni della realtà esaltando i messaggi che scatenano o possono scatenare più reazioni.
Avete presente quando il microfono di un cantante genera il fastidiosissimo fischio? si chiama effetto larsen ed è l'esaltazione di segnale sonoro che viene selettivamente amplificato a ciclo continuo attraverso l'amplificatore fino a saturare a la capacità dell'amplificatore stesso. Ora, nei social l'amplificatore siamo noi, e siamo un amplificatore enorme: decine e centinaia di milioni di utenti messi in corto circuito dagli algoritmi.
Chi vuole vedere un esempio di come funziona questo fenomeno, vada a cercare il ruolo che gli algoritmi di Facebook hanno avuto nelle violenze, uccisioni e pulizia etnica dei Rohingya nel 2017 in Myanmar.
Consentire che la realtà percepita venga distorta dovrebbe essere vietato: se una persona su un milione pubblica una affermazione, magari falsa e delirante, deve essere rispettato il fatto che si tratta di una sola su un milione e devono essere agganciabili anche gli eventuali post non emotivi e quindi non virali, che però discutono su tale affermazione magari spiegando come sia falsa o sbagliata. Questo senza interventi algoritmici che falsino il gioco ed il senso delle proporzioni. Siamo già capaci di farci del male da soli senza bisogno che fenomeni di massa emotivi vengano esaltati artificialmente.