Ogni tanto, quando ho un po’ di tempo libero, mi piace dedicarmi ai videogiochi.
Niente giochi competitivi online, solo single player in cui posso approfondire con calma la trama del videogioco in questione.
Dei titoli sono incredibili, in alcuni casi si rivelano esperienze ludiche anche migliori di alcuni film o serie tv.
Uno dei giochi che più mi è piaciuto è “The Ghost of Tsushima”, in cui si interpretano i panni di un samurai del 1300 che deve difendere il Giappone dall’invasione mongola.
Le ambientazioni, la musica, i riferimenti culturali, i personaggi, sono tutti elementi che creano un’esperienza mozzafiato capace di tenerti incollato per decine di ore.
Ecco, questo gioco è stato definito unanimemente come uno dei titoli migliori usciti negli ultimi anni, e proprio ieri è stato annunciato un “sequel”.
Ho scritto sequel tra virgolette perché non è propriamente corretto: il nuovo gioco infatti è ambientato 300 anni dopo e la protagonista invece di essere un uomo è una donna. Quindi è semplicemente un altro gioco, creato però dalla stessa casa.
Questo ha scatenato diverse polemiche: in primo luogo è arrivata l’inevitabile accusa di seguire la propaganda woke e di dover essere inclusivi a tutti i costi. Che vabbè, sorvoliamo.
Dall’altra parte, molti utenti innamorati del primo titolo volevano si mantenesse un filo conduttore con l’uscita precedente, giocando di nuovo con lo stesso protagonista ma in un contesto diverso.
Insomma, alcuni utenti rivolevano quindi la stessa, roba, riciclata.
Avevo già parlato in passato dei remake, dei prequel, dei sequel, del riusare in continuazione le stesse idee, ed era emersa una sorta di “comodità” da parte dei brand.
Comodità, ma anche sicurezza: l’innovazione richiede rischi che spesso le aziende non vogliono prendersi per evitare possibili buchi enormi, dati gli alti costi di produzione.
E allora si va sull’usato sicuro e sulle stesse idee di sempre, così il pubblico è felice e l’azienda guadagna.
Una delle falle di questo sistema è proprio il pubblico: abituati nel corso degli anni a una frequenza sempre più intensa di contenuti già visti, ha normalizzato questa dinamica e, anzi, ha pure cominciato ad apprezzarla.
Il trend della nostalgia è ciò su cui ormai è basata gran parte della cultura odierna, partendo dalla musica che spesso ricalca i suoni del passato, fino ad arrivare ai film, alle serie tv, ai videogiochi.
Stranger Things, serie TV ambientata negli anni ’80, ha avuto un successo mastodontico (52 miliardi di minuti guardati solo nel 2022) ricalcando proprio gli stereotipi dell’epoca, tra luci, colori, musica, ed è stata solo la punta di un iceberg enorme che ogni giorno si espande nella nostra quotidianità.
The Weekend è l’artista più ascoltato al mondo e le sue canzoni sono un costante omaggio alle sonorità degli anni ’80, con uno stile che riprende icone come Prince e Michael Jackson.
Sempre rimanendo nell’industria musicale, proprio nelle ultime settimane non si parlava d’altro che della riunione degli Oasis… più nostalgia di questo!
Il fenomeno della nostalgia funziona così bene perché fa leva sul bias di familiarità.
Degli studi hanno dimostrato come, quando leggiamo un nome anche di sfuggita, se poi lo rivediamo qualche giorno è probabile che ci sembri di conoscerlo rispetto agli altri nomi nella lista. Quando invece l’abbiamo visto solo mezza volta.
Lo stesso avviene con concetti, sonorità o immagini: se le abbiamo già viste o sentite in passato è più facile che, rivedendole oggi, ci diano un senso di comfort e, appunto, familiarità.
È proprio per questo che i trend che coinvolgono la nostalgia funzionano così tanto, ci fanno sentire a casa perché non ci richiedono uno sforzo aggiuntivo per provare qualcosa di nuovo.
Il problema?
Se la nostalgia diventa la fonte principale della produzione culturale, a rimetterci spesso sono innovazione e sperimentazione. Il costante riciclo di idee può bloccare nuove espressioni artistiche portando, alla fine, a una sorta di atrofia culturale in cui la cultura si attorciglia su se stessa impedendo l’evoluzione.
In tutta questa storia però, tutto questo ciclo avviene perché c’è qualcuno che crea, ma dall’altra c’è qualcuno che fruisce.
E quindi, se le “aziende cattive” continuano a produrre sempre le stesse cose, alla fine sono però gli utenti che decidono di guardarle.
Quindi dovrebbe venire proprio da noi la volontà di fare una selezione più accurata…
Solo che alla fine i gusti sono gusti, la familiarità è una bestia dura da battere e, come ha dimostrato il caso delle critiche iniziali del videogioco, la direzione probabilmente continuerà a essere proprio questa.
Nostalgia e anni ‘80 per sempre, con buona pace di chi vorrebbe cose nuove. Amen.
Avete presente i tagli di Fontana?
Sono delle tele in cui l’artista contemporaneo ha inciso dei tagli.
That’s it, queste sono le opere.
L’apparente semplicità, nel corso della storia ha fatto dire a tantissime persone “beh, potevo farlo anche io”.
La risposta è “no, non potevi farlo anche tu”. Un breve video spiega perché.
Un carosello per rigenerarvi il cervello.
Mi ha fatto stare bene.
È tutto, al prossimo giovedì :)
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Buongiorno Mattia!
Quanto indicato lo si osserva specialmente nel "comparto musicale" al momento, dove 1 canzone su 2 ormai è frutto del campionamento / cover di un successo del passato che, per carità, sticazzi, però è un po' un peccato.
Un po' meno sticazzi (per me) è lo stesso trend social (o ciò che l'algoritmo mi sta proponendo) sul riproporre spot, serie tv, cartoni del passato andando a toccare le corde dell'anima, dove per corde dell'anima intendo "eravamo felici e non lo sapevamo": no cazzo, è solo una gigantesca interpretazione errata della realtà. Sì, mi sta tremendamente sulle palle questo tema. Come gli altri.
L'atrofia culturale, come quella mentale in generale che si è ormai diffusa, sarà una delle cause della caduta dei giganti odierni.
Ciao a todos, buon weekend <3