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Fabio Salvi's avatar

Grazie dello riflessione, tuttavia ritengo che la parola attivismo implichi impegno, dedizione e sacrificio. Categorie che non si applicano ai pigiatori seriali, convinti di essere uniti dal Signore, che non informano, non discutono, non argomentano semplicemente hanno la pretesa di dirti cosa è giusto e cosa sbagliato, e se non sei d'accordo sei feccia. Di 1000 post sul referendum 950 contenevano slogan ridicoli ("quando ti licenzieranno ricordarti di essere andato al mare") autocelebrazioni (" eccomi al seggio che eroe, non capisco perché non sono Cavaliere della Repubblica"), informazioni parziali o del tutto inesatte o retorica da discorso di Capodanno. Il tutto sempre accompagnato da un fastidioso senso di superiorità. Post con informazioni corrette sui quesiti, che stimolassero una riflessione, con contenuti validi.... pochissimi. Di questo attivismo che mi sembra un disturbo narcisistico della personalità onestamente farei a meno e penso che non sia solo inutile, ma anche dannoso, allontanando dai temi, polarizzando il dibattito, diseducando dalla conversazione. Di questi "attivisti" ne ho piene le tasche, e penso contribuiscano a rendere social e società peggiori e tossici. Abbiamo bisogno di migliori domande, di educazione e di confronto, non di continue risposte saccenti e dimostrazioni di superiorità morale e patenti di giusto/sbagliato. Ma purtroppo la materia prima è questa. Per me è importante avere rispetto per le parole. Attivismo applicato a questa categoria, no grazie.

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Rocco Forsani's avatar

Resto convinto che l’attivismo digitale, se non radicato in una dimensione fisica, difficilmente può produrre trasformazioni sociali concrete e durature. La politologia ha ampiamente analizzato il fenomeno (Morozov, Tufecki sono i primi che mi vengono in testa).

Senza un ancoraggio territoriale, una progettualità condivisa e una dimensione incarnata dell’impegno politico, l’attivismo digitale rischia di rimanere un’eco in un flusso assordante di informazioni.

Anzi Morozov addirittura sostiene che la performance dell’attivismo digitale spenga l’impulso politico.

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Alfredo Codecasa's avatar

Condividendo l’influenza che i social hanno sulle idee politiche della gente, sono proprio per questo estremamente preoccupato, in quanto non penso che, visto il livello intellettuale della maggior parte degli utilizzatori di questi mezzi di comunicazione,si diano la pena di approfondire le questioni: sono molto più stimolati da una foto o da un reel accattivante che dal testo relativo.

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Fabrizio Gibilaro's avatar

Sono d'accordo, ma le aspettative di influenza immediata sono cresciute enormemente proprio grazie al fatto che la maggior parte delle persone si informa tramite i social. Quindi risulta difficile, per molti, accettare che l'influenza esista, anche se su una scala temporale più lunga.

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Mattia Marangon's avatar

Il punto è che le persone che si informano sui social stanno diventando sempre di più, ma sono comunque una bolla rispetto alla totalità della popolazione. Per quello, a leggere i social sembrava che si sarebbe arrivati a numeri ben più alti al referendum.

Ma non c'è dubbio che col passare degli anni questa "bolla" diventerà sempre più grande.

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Roberto's avatar

Io vedo i social semplicemente come uno dei mezzi a disposizione. Vero, sempre piu utilizzato soprattutto dai giovani. La questione referendum in sé…mi pare sia trattata oggi, soprattutto da chi ‘non ha vinto’…andando a cercare tutte le cause possibili della ‘non vittoria’ con l’esclusione dell’ammissione della vera probabilmente unica grande causa: -Questioni mal poste, non alla portata della comprensione popolare, in parte anacronistiche. Poi, se uno vuole dare la colpa ai social…

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